L’enigma della sfinge .

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L’enigma della sfinge .

Immagini e passaggi nel mondo dei miti

 

I.

Antefatto

Chi osserva l’immagine della sfinge di Giza ( lunga 73,5 m, alta 20,22 m e larga 19,3 m di cui solo la testa è 4 m )  si rende,  subito,  conto che quella colossale realizzazione del faravone Chefren era al contempo un’immagine sacra e regale. Essa rappresenta infatti il sovrano, nel suo aspetto di divintà solare.  Quasi mille anni dopo Chefren, Tutomosi IV continuava a venerarla come una divinità e narra di quando, ancora giovane principe, aveva riposato all’ombra di quella sfinge, pressochè sepolta nella sabbia. In sogno gli era apparso il dio in essa raffigurato, che gli aveva chiesto di dissabbiare la sua immagine e gli aveva promesso la conquista del trono.

L’iscrizione che Tutomosi IV fece poi incidere sulla stele collocata tra le zampe anteriori del monumento ricorda anche il nome dell’essere divino rappresentato in quell’enorme leone dal volto umamo : un dio-Sole, che era detto Harmachis, cioè “ Horo nell’orizzonte “ , per indicare la divina potenza del faraone nel momento culminante della sua gloria, cioè, appunto, quando il sole sorge all’orizzonte .

 

II.

La figura sacrale

Nella storia di questa composita figura che ha attraversato i secoli, il primo dato importante  è la sua sacralità : in Egitto, la sfinge era un’immagine del faraone e insieme una statua divina.  Fin dal periodo più antico compaiono anche sfingi dal volto femminile, con il volto privo di barba e tratti più delicati, per raffigurare la figlia e la sposa del faravone e magnificarne similmente la loro grandezza.

Gli stessi motivi, celebrativi della potenza del faravone, portano alla diffusione della sfinge nelle contigue regioni del mondo orientale siriano, mesopotanico e anatolico, dove essa trovò buona accoglienza nelle diverse religioni e nelle varie forme espressive artistiche . Nel corso del II millennio a. C. , più precisamente, gli artigiani del Vicino Oriente raffigurarono quell’immagine del faravone, diffusa a scopi propagandistici fin nelle città costiere della Siria, adattandone la tipologia al proprio repertorio figurativo.

Restava, nelle loro opere, il carattere sacro dell’immagine. ma essa veniva ripetuta come motivo iconografico indipendente dai significati originari e veniva applicata a nuovi valori e tipologie. Ne sono un esempio le sfingi che fianchegguano il trono regale con funzione apotropaica, quelle raffigurate presso porte, altari e tombe con compiti di sorveglianza, le sfingi predatrici riprodotte nell’ atto di schiacciare i nemici o ancora le sfingi utilizzate con una più semplice valenza ornamentale, come sono  quelle rampanti in coppia intorno all’ “ albero della vita” .

Dal profilo dei modi e tempi di  questa evoluzione artistica, alla posizione classica della sfinge accovacciata, propria delle immagini dei sovrani egiziani,  si aggiunge nei Paesi del Levante quella della  “ sfinge a gradiente “ , tipica dei cilindri paleosiriani, e poi quella della sfinge seduta sulle zampe posteriori e fornita di ali vistose, elemento, quest’ultimo, desunto forse dall’immaginario di un altro essere composito,  il “grifone“ .  Come motivo figurativo, inoltre, la sfinge viene utilizzata anche nella cosidetta “ arte minore “  ( avori, sigilli, scarabei e ceramica), per la decorazione di oggetti d’ uso funerario, di gioielli e d’arredi.

Nel corso del II e del I millennio a. C., l’Egitto continua a svolgere una funzione centrale nell’elaborazione e diffusione di questo motivo, accogliendo le innovazioni che giungono dai Paesi dell’ Oriente e ricreandole in modo originale, con l’aggiunta di nuove varianti,  che da qui nuovamente  si diffondono, in base alle tipologie elaborate in Oriente; queste raggiungono Cipro, Creta, Micene, e poi Sparta, Delfi, Atene, l’Etruria e i centri fenici d’Occidente, fino alla Sardegna e all’ Iberia .

Il mondo greco, in specie, accolse con entusiasmo l’immagine orientale della sfinge, come elemento decorativo, per farne qualcosa di nuovo e di diverso significato.  I documenti greci più antichi attestano l’uso ornamentale della sfinge, per esempio su vasi protocorinzi, corinzi, rodii, laconii, milesii, cretesi, e l’attribuzione ad essa del valore sovraumano di guardiano delle tombe e dei luoghi sacri in genere; ma  presto è attestata, anche, una nuova vita per questa figura , che si trasforma in un inquietante demone femminile e s’introduce a viva forza in una tradizione mitica tanto antica quanto diffusa: quella relativa alle vicende tebane di Edipo, raccolte in una saga e cantate da poeti. E’ questa la sfinge pià famosa nel mondo classico ; è anzi “ la  “ Sfinge par excellence , al singolare, un essere dotato di personalità precisa e temibile .

 

III.

Dal  verbo “ Strozzare “

Che sia una minaccia, lo dice già il nome : “ Sfinge “ deriva dal greco   “ Sphynx “  che significa “ strangolatrice “   e indica un essere mostruoso, nato da mostri. Ci dicono Esiodo e Apollodoro che “ Sfinge nefasta “  era figlia di Echidna, l’orrido essere del caos iniziale, metà fanciulla e metà serpente che aveva partorito anche Cerbero, Chimera, Idra e Otro. Quest’ultimo si era unito in incesto a sua madre Echidna, per far nascere appunto Sfinge, che aveva un corpo di leone, testa di donna, coda di serpente e ali d’uccello. Da questo punto di vista, le descrizioni degli scrittori classici corrispondono alla tipologia attestata nell’arte già per le sfingi orientali.

Per i greci, Sfinge era femmina, tanto che Heròdotos, per descrivere le monumentali sfingi maschili egiziane, fece ricorso al termine “ androsfingi  “ ( cioè “ sfingi – uomo “  ), quasi a rimarcare la differenza tra l’Oriente e la Grecia.  Sfinge aveva, anche , doti profetiche particolari e manifestava, con una voce umana, tremedi e oscuri oracoli divini.

 

IV.

Sulla strada per Tebe

“ Vergine sottile “ , “  Cagna tessitrice di canti “ e “ Mostro delle montagne “   la chiamarono i poeti : essa sorvegliava,  dall’alto del monte Ficio,  la strada per Tebe, proponendo ai Tebani un enigma, appreso dalle Muse, e uccidendo chi non riusciva a risolverlo.

A quel tempo il trono della città di Tebe  , fondata da Cadmo, era nelle mani di Creonte, fratello della regina Giocasta e cognato di Laio;  il re legittimo, Laio,  era stato ucciso da un viandante sconosciuto. Per porre fine alle sciagure di Sfinge, Creonte aveva stabilito di offrire il trono e la mano di Giocasta a colui che fosse riuscito a risolvere l’enigma. Così erano morti i figli di Creonte, Emone e altri principi.

Udì quel bando anche Edipo, figlio di Laio e di Giocasta che tutti credevano morto e che, senza conoscerne l’identità, aveva ucciso tempo prima il re Laio, suo padre . Anche a lui   Sfinge propose cantando l’enigma : “ V’è sulla terra un essere dotato di una sola voce, che ha due, quattro e tre piedi. Solo egli cambia il suo passo, tra gli animali, pesci e uccelli. Però quando cammina appoggiandosi su più piedi, il suo corpo è più debole ? “ . Edipo, senza esitare, rispose : “ O cantante dal volto sinistro, ascolta la mia voce che mette fine ai tuoi crimini . E’ l’uomo, che appena uscito dal seno materno cammina a quattro piedi, carponi, e poi s’appoggia al bastone, come a un terzo piede, quando il peso degli anni incurva il suo capo .  “   

Ecco, l’enigma era risolto : Sfinge per lo smacco si uccise, precipitandosi dalla rupe, mentre Edipo, sicuro del suo sapere e della sua potenza, si avviava al trono di suo padre e al letto di sua madre. Sfinge era sconfitta; o almeno così credeva Edipo ( in greco antico: “ Οἰδίπους “ ,  “ Oidípūs “ ) : Oidípūs in greco significa “ l’uomo dal piede gonfio “ e anche “ colui che sa ( l’enigma ) del piede “ .

Seguendo le orme degli antichi tragediografi, di Sofoclale e d’Euripide in specie, gli studiosi moderni, da Sigmund Freud a Claude Lévi-Strauss , si sono interessati soprattutto ai temi del parricidio e dell’incesto, ponendoli al centro della vicenda edipica. E tuttavia le antiche raffigurazioni del mito suggeriscono di non sottavalutare questi momenti della narrazione a scapito di altri : gli artisti greci , e soprattutto i pittori attici del VI-V secolo a. C., preferiscono infatti raffigurare il confronto tra Edipo e Sfinge, cioè il momento dell’enigma, indubbiamente ambiguo, come ambiguo era quell’essere composito che proponeva l’indovinello.

Per gli artisti greci, il mito di Edipo ruota intorno al personaggio di Sfinge, mostro, profetessa e guardiana, che di lì, davanti alla città di Tebe, evocava e reinterpretava la storia di quella bestia favolosa che i Greci avevano attinto dall’antico Oriente , per farle assumere poi significati aggiuntivi, distanti dai valori che ne avano segnato l’origine in Egitto, ma funzionali al nuovo contesto, culturale e religioso.

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