Archivi del mese: aprile 2013

Che cosa può un corpo ?

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Che cosa può un corpo ?

Note a ” Cosa può un corpo ? Lezioni su Spinoza” di Gilles Deleuze

Ci sono molte ragioni per dedicarsi  alla lettura del libro “Cosa può un corpo ? Lezioni su Spinoza” di Gilles Deleuze . E penso, forse non a torto, che la prima fondamentale ragione è l’aspetto terapeutico che oggi riveste l’opera di Baruch Spinoza: in un tempo caratterizzato dal governo politico delle passioni tristi, la lettura e lo studio delle “Lezioni su Spinoza” è liberatoria per la sua capacità di andare alla radice delle servitù che imprigionano le menti e i corpi. Non si tratta, però, di una lettura e di uno studio come fuga nell’intellettualismo, né di una riabilitazione dell’aspetto consolatorio della filosofia che lo stesso Baruch Spinoza disdegnava. Per Spinoza, la  conoscenza dei rapporti tra mente e corpo è, come anche per  Gilles Deleuze, sempre pratica: quel che è in gioco è sempre il concreto incrociarsi e scontrarsi di rapporti di potere, affetti e  costruzioni sociali. Lo stesso corpo individuale è una costruzione sociale, un progetto politico: la sua espressione e la sua interpretazioni sono impensabili senza la comprensione adeguata delle stabilizzazioni imposte dai dispositivi di assoggettamento e dalle forme di riproduzione del potere. La prassi spinoziana (degli spinozisti come del cittadino Baruch Spinoza) era (ed è) affermazione, nel pensiero come nella vita, di un’altra società, di uno scarto rispetto al grado di esistenza e di libertà concesso dal potere: “una società dove il diritto si potesse compiutamente esprimere come potenza collettiva” (1).

Penso, forse non a torto, che la potenza del pensiero spinoziano comporta anche un rischio: che lo spinozismo, magari proprio nella sua interpretazione deleuziana, scivoli o  scada ad una (ri)proposizione di affermazioni filosofiche con valore di slogan a fronte della crisi dei movimenti e dell’attuale inadeguatezza delle loro prassi. L’ inadeguatezza che ha ( almeno così mi pare) la sua radice nell’incapacità di uscire dall’autoreferenzialità, nella chiusura nei localismi e nei soggettivismi: nell’inadeguata capacità di raccordare le lotte e i movimenti locali, i loro spazi e i loro luoghi. La “ Moltitudine” , l’ “immanenza “ e la “molteplicità” rischiano di diventare, per il motivo or ora esposto, dei  noiosi artifici buoni a coprire solo le sconcezze delle lacune, i buchi, le fratture – e effettivamente si assiste, talvolta, al compiaciuto bearsi di simili flati vocis. Contro questa perversione dello spinozismo vale come antidoto quel che  Gilles Deleuze non ha mai smesso, per tutta la sua vita, di affermare che non basta evocare l’immanenza: bisogna costruirla. Così come non basta invocare la razionalità o la socialità dell’essere umano, socialità e razionalità sono costruzioni. “Non si nasce esseri sociali. Nessuno nasce ‘socievole ‘  “ (2), né si nasce razionali, lo si diventa: “ Spinoza non pensa assolutamente come un razionalista – per i razionalisti esistono la ragione e le idee, e se ne avete una, le avete tutte: siete razionali. Spinoza pensa invece che si diviene razionali, o saggi, cosa che cambia del tutto il senso del concetto di ragione “ (3) . Divenire sociali e razionali è una  questione di incontri, e gli incontri sono, come si sa, questione di percezioni, adeguate o meno: per Baruch Spinoza la percezione è un problema politico, è forse il problema politico, dal quale tutto scaturisce. Ogni incontro è una composizione che esprime il massimo grado di potenza possibile. Una cattiva, cioè inadeguata, percezione dei corpi, della società, dell’altro condurrà ad una cattiva composizione, esattamente come il veleno è una cattiva composizione per il mio corpo: stiamo parlando ancora di metafisica, stiamo facendo della fenomenologia, o stiamo parlando di analisi sociale, dunque di politica? È del tutto evidente che questa distinzione non ha senso: il giudizio politico è espressione di una prassi, la quale esprime il massimo livello di composizione dei rapporti di cui posso essere capace a partire dall’adeguatezza o meno della mia comprensione degli elementi costituenti. È per questo che l’etica di Baruch Spinoza non è un’etica del dovere, ma un’etica della potenza: “ Spinoza non fa mai della morale, per la semplice ragione che non si chiede mai cosa si “deve” fare. Piuttosto, si interroga su cosa si è in grado di fare, sulla potenza “ (4). E sulla potenza Gilles Deleuze ci dà una lezione, la settima, che da sola vale l’intero libro ” Cosa può un corpo ? Lezioni su Spinoza”  , dove l’etica viene rifondata secondo la potenza all’interno di un discorso sul limite percettivo e l’uso del colore nella pittura bizantina che sfocerà nei colori di El Greco (nome d’arte del pittore, sculture e architetto  Dominikos Theotokopoulos ), pittore molto amato da Gilles Deleuze .

Soprattutto – ed ecco un’altra buona ragione per leggere il libro ” Cosa può un corpo ? Lezioni su Spinoza” di Gilles Deleuze   – non ci si chiede mai “cosa posso sperare?” : la speranza, come l’invidia, la paura, l’ambizione, è una passione triste. Non per caso non s’ incontra il tema della speranza in queste lezioni: la speranza è, per Spinoza, una fluttuazione dell’animo speculare alla paura, della quale viene creduta essere il rimedio. Dall’Ethica al Tractatus theologico-politicus, Baruch Spinoza non ha incertezze nel (col)legare la speranza e la paura all’immagine, auspicata o temuta, di una cosa futura del cui accadere dubitiamo. Chi vive nella speranza o nel timore rinuncia a vivere la propria vita in favore o per timore di un’altra vita che non è, e che forse potrà essere. Con le parole di Friedrich Wilhelm Nietzsche: “ non è un rimedio alla sofferenza, ma un prolungamento indefinito della sofferenza “.  

Vincolare un altro alla promessa di un beneficio futuro è un modo per assoggettarne tanto il corpo quanto la mente, scrive Spinoza nel Tractatus theologico-politicus ( II.10): costringerne l’anima a cercare di salvarsi piuttosto che insegnarle a vivere la vita. Il governo politico della tristezza non è altro che questo: vincolare la privazione di vita a una speranza, e questa a una “grande speranza che deve superare tutto il resto” . Che tale speranza sia un Dio “che può proporci e donarci ciò che da soli non possiamo raggiungere” (Enciclica Spe Salvi), o che siano i dispositivi che ci vincolano alla rassegnata accettazione della nostra incapacità a costituirci liberamente al di fuori dei processi di assoggettamento, promettendoci la sicurezza in cambio dell’autodeterminazione: il risultato resta interno alla produzione sociale della paura, del timore, del bisogno di rassicurazione. Essere spinoziani è una questione di stile: significa rifiutare questi mediocri pastori di anime e di corpi, queste menti frustrate dalle proprie catene che proiettano sul corpo sociale le proprie servitù. Significa scommettere sulle pratiche costituenti di liberazione piuttosto che sui predicatori di tristezza: “ Eppure ci sono persone che la coltivano con assiduità… L’Etica è una denuncia radicale di tale atteggiamento – vedete quanto Spinoza sia distante dal giustificare anche minimamente la brama di potere: solo le persone frustrate pretendono il potere, per rivalsa. Per questo sono pericolose. Solo i frustrati costituiscono sistemi di potere basati sulla tristezza. Hanno bisogno della tristezza degli altri. Possono regnare solo facendoli schiavi, perché la schiavitù è precisamente il regime in cui la potenza diminuisce. Gli uomini di potere instaureranno sempre regimi basati sulla tristezza. Per capirci: ‘Fate penitenza!’, oppure: ‘Odiate questo o quello!’. Non avete nessuno da odiare? Odiate voi stessi! La cultura della tristezza, la tristezza come valore, tutte le frasi che dicono: ‘ Per crescere bisogna soffrire’ , tutte queste cose per Spinoza sono abominevoli. Scrive un’etica proprio per dire: ‘ Non è vero! Proprio per niente! ‘ “ (5).

 

Note

1. Gilles Deleuze, “ Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza “ , Ombre Corte Ed., Verona, 2007, p. 31

2. Gilles Deleuze, op. cit., p. 82

3.Gilles Deleuze, op. cit., p. 59

4.Gilles Deleuze, op. cit.,  p. 55

5. Gilles Deleuze, op. cit. , p. 115

 

Bibliografia

Gilles Deleuze, “ Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza “ , Ombre Corte Ed., Verona, 2007

Baruch Spinoza,” Ethica “ , Armando Ed. , Roma,  2008

Baruch Spinoza, “ Tractatus theologico-politicus “,  Ed. Einaudi, Torino, 2000

Patrizia Pozzi, “Spinoza, l’eresia della pace: Spinoza e Celan : lingua, memoria e identità “ , Mimesis Edizioni, 2005

 

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Larisa Miller, Del celato senso la cattura

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Лариса Миллер, “ Потаенного смысла поимка

( Larisa Miller, “ Del celato senso la cattura” )

 

I.

Introduzione

 

 La poetica di Larisa Miller, moscovita (è nata nel 1940), è quella  della  natura riecheggiante dell’enigma lirico- naturfilosofico di Afanasij Fet . E , di conseguenza, il linguaggio poetico di Larisa Miller  si configura nel segno della lingua letteraria russa chiara e semplice, trasparente , costruito con la metrica classica della poetica russa caratterizzata da un lungo significato e pensoso silenzio.

 

“ Io amo i versi di Larisa Miller perché ella è così occupata dal pensiero di ciò che c’è di più importante nella storia e nella vita d’ogni giorno, e non solo della propria, ma anche degli altri. Nella sua lirica è presente con evidenza un tono civile lieve, delicato, che allo stesso tempo ci allarma tutti e ci fa riflettere “ , disse Evgenij Aleksandrovič  Evtušenko.

 

La verità è che Larisa Miller bisogna saperla leggere con attenzione e riflessione.  Quando lo feci, restai senza respiro dinanzi alla misurazione del tempo della sua vita con (per così dire) la “clessidra” in cui si snodano, in sotteso, profonde consonamze con il lirismo poetico russo ( che va da Aleksàndr Sergéevič Puškin a Fëdor Ivanovič Tjutčev e da Anna Achmatova a  Marina Ivanovna Cvetaeva ) elaborato in una dimensione tutta propria e aderente, intimamente e profondamente, al  vissuto vero, reale e autentico, senza mai cadere o scivolare  nell’artificiliatà.  Per molti versi, la poetica di  Larisa Miller porta avanti la tradizione russa della lirica filosofica di matrice diaristica; tradizione che penso, forse non a torto,  risale a Fëdor Ivanovič Tjutčev.

 

Una lettura non attenta , non riflessiva e  non partecipe, scivola  tra le parole di Larisa Miller, irritata dall’apparente effimerità. Ma la poetica di Larisa Miller si rivolge ad un lettore  “complice “, che condivide il di Lei appassionato atteggiamento verso la vita perché –  per dirla con Marina Ivanovna Cvetaeva  : “Il poeta da lontano conduce le parole. La parola conduce lontano il poeta”. Tra le “tortuose parabole” della vita, nei segni di tutti i giorni, il ”cammino delle comete è il cammino dei poeti” perché “le eclissi dei poeti non sono previste dal calendario”…  E subito mi conquistò di Larisa Miller quel sentiero poetico, mai didascalico, percorso da una poetica che fa pensare all’ermetismo, nella brevità di un cenno, nella fugacità di un rimando, in un improvviso bagliore aforistico. E’ una poetica quella di Larisa Miller  tutta tessuta   in un flusso in cui si fonde la  la brevità e la leggerezza coniugate nel fluire pacato della quotidianità che la memoria concretizzatasi in una parola d’improvviso scuote come un ciottolo che carezza la superficie prima di affondare.

 

 

II.

Del celato senso la cattura

Anno 2007

1.

А живём мы всегда накануне

А живём мы всегда накануне.
Накануне каникул в июне,
Часа звёздного, чёрного дня,
Золотого сухого огня.
Накануне разлуки и встречи.
Обними меня крепче за плечи.
Мне не жить без тепла твоего
Накануне не знаю чего.

***

E viviamo noi sempre alla vigilia

E viviamo noi sempre alla vigilia,
Alla vigilia delle ferie a giugno,
Dell’ora stellata, del nero giorno,
Dell’arido fuoco dorato. Alla vigilia
Della partenza e di un nuovo incontro.
Cingimi forte forte le spalle.
Viver non posso senza il tuo tepore
Alla vigilia non so di che cosa.

III.

Anno 2008

1.

Погоди, я с тобой, я с тобой

Погоди, я с тобой, я с тобой.
Даже если ведут на убой,
Даже если там морок и плаха.
Я не ведаю большего страха,
Чем вдруг выпустить руку твою
И остаться навеки в раю.

***

Aspetta, io sono con te, con te io sono

Aspetta, io sono con te, con te io sono,
Persino se mi conducono al massacro,
Persino se là è apprestato il patibolo,
Io non conosco paura più grande
Che d’un tratto lasciare la mano tua
E rimanere per l’eterno in paradiso.

2.

А сегодня в окно поглядела: весна

А сегодня в окно поглядела: весна.
Сразу комната стала для жизни тесна,
И туда захотелось, где свет и свобода,
Чтоб ломило глаза от небесного свода,
Чтоб легко по осевшему снегу идти,
Как весёлая девочка лет двадцати.

***

Primavera: alla finestra oggi lo sguardo ho volto

Primavera: alla finestra oggi lo sguardo ho volto
E d’un tratto è per la vita la stanza angusta.
Oh, che voglia d’andare dov’è libertà e luce,
Perché gli occhi accechi del cielo la volta,
E sia leggero il passo nella fresca neve,
Quasi fossi fanciulla dei miei vent’anni.

3.

Свежий снег мне с утра постелили

Свежий снег мне с утра постелили
И моё пребыванье продлили,
Подарили мне день в феврале,
А вчера я была на нуле.
С благодарностью я принимаю
Дар волшебный и не понимаю,
Что мне делать с подаренным днём,
Как заботиться надо о нём.

***

Dal mattino m’han apprestato fresca neve

Dal mattino m’han apprestato fresca neve
E allungato la mia permanenza.
Mi hanno donato un giorno in febbraio,
E solo ieri non avevo nulla.
Con riconoscenza io accetto
Il magico dono e non comprendo,
Cosa fare con il giorno donatomi,
Come circondarlo delle mie cure.

4.

Мельканье суток и недель

Мельканье суток и недель,
И тополиная метель
Начнётся через две недели,
Летят мгновенья, как летели,
И значит, с ними я лечу
И на лету стихи строчу
Летучим слогом без нажима
О том, как всё неудержимо.

***

Baluginare di giorni e settimane

Baluginare di giorni e settimane,
E la tempesta del polline dei pioppi
Comincerà tra due settimane,
Volano gli attimi, come volavano un dì,
E vuol dire ch’io volo con loro
E in volo di getto scrivo versi
In stile alato senza sforzo
Su come tutto sia irrefrenabile.

5.

Много лет и много дней

Много лет и много дней
Я живу меж двух огней
Меж рассветом и закатом.
Кто я? Так. Песчинка, атом,
Мира маленькая часть.
Так легко совсем пропасть.
Вот и думаю, гадаю,
Почему не пропадаю.

***

Tanti anni e tanti giorni

Tanti anni e tanti giorni
Vivo io tra due fuochi,
Tra l’albore ed il tramonto.
Chi sono? Mah. Un granello, un atomo,
Del mondo minuscola parte.
È così facile svanire senza traccia.
Ed ecco vado pensando e divinando
Perché invece non mi perda.

6.

Борису Хазанову

Борису Хазанову
Нас позабудут, а потом
Забудут тех, кто нас забудет,
И ветер те следы остудит,
Что вьются в мире обжитом.
Но вдруг когда-нибудь опять
Воскреснет сыгранная нота,
Заставив чуткого кого-то
Заплакать или просиять.

***

А Boris Chazanov*


Ci dimenticheranno e poi
Dimenticheranno chi ci dimenticherà,
E il vento quelle impronte ghiaccerà
Che s’intrecciano nel mondo vissuto.
Ma d’un tratto di nuovo un giorno
Resusciterà la nota che risuonò
Costringendo qualcuno sì sensibile
A piangere o rifulgere.

 

*Boris Chozanov (1928), prosatore, pubblicista e traduttore.  Dal 1982 vive in Germania.

7.

Гулял под дождём и совсем не скучал

Гулял под дождём и совсем не скучал.
Ведь дождик по зонтику громко стучал,
С тобой говорил, заливая при этом
Земное пространство серебряным светом.
Вам с дождиком весело было вдвоём,
Хоть каждый из вас размышлял о своём,
И ты толковал на наречии местном,
А он на каком-то далёком, небесном.

***

Andava sotto la pioggia e proprio non s’annoiava

Andava sotto la pioggia e proprio non s’annoiava.
La pioggerella batteva con forza sull’ombrello,
Parlava con te, inondando nel frattempo
Lo spazio terrestre d’argentea luce.
Eravate allegri in due sotto la pioggia,
Sebbene ciascuno pensasse al suo,
E tu tutto spiegavi nella locale parlata
E lui in una sua lontana, celeste…

8.

Я люблю твой ствол шершавый

Я люблю твой ствол шершавый,
Мох твой жёсткий, лист твой ржавый,
Душу нежную твою.
Мы живём с тобой в краю,
Где живых легко изводят.
Ты дыши, пусть соки бродят.
Я держусь, и ты держись,
И давай стремиться ввысь.

 

***

Amo il tronco tuo ruvido

Amo il tronco tuo ruvido,
Il tuo muschio folto, la foglia arrugginita,
L’anima tenera tua.
Viviamo noi in una contrada,
Dove i vivi han facile tormento.
Respira, che ribollisca la clorofilla.
Io mi tengo su e tu tieniti su,
E suvvia, slanciati agli astri.

9.

Я тишину перевожу

Я тишину перевожу
На русский, на певучий русский.
Берёза, ива, мостик узкий,
Тропа, где каждый день хожу.
А может, мой напрасен труд,
И тишина красноречива.
Пускай молчат берёза, ива,
И мостик, и осенний пруд.

***

Traduco io il silenzio

Traduco io il silenzio
In russo, nel russo che canta.
Betulla, salice, ponticello stretto,
Sentiero che percorro ogni dì.
E forse è vana la mia fatica,
Ed il silenzio è eloquente.
Tacciano pure la betulla, il salice.
Il ponticello e lo stagno d’autunno.

10.

А смертные смертных младенцев рожают

А смертные смертных младенцев рожают,
Заботой, вниманием их окружают,
Катают в коляске, на ручках несут,
Тетёшкают, но всё равно не спасут.
О Господи, это же бесчеловечно.
Ну разве не ясно, что жить надо вечно?
Сначала у мамы своей на руках,
И дальше, и дальше, и дальше в веках.

 

***

Generano i mortali mortali infanti

Generano i mortali mortali infanti,
Di cure e d’attenzione li circondano,
Li scorrazzano in carrozzina, li coccolano in collo,
Li vezzeggiano, e tuttavia non li salveranno…
O Signore, tutto ciò è disumano.
Ma non è così chiaro che bisogna vivere in eterno?
Dapprima in collo alla propria mamma,
E poi, e poi, e poi… in saecula saeculorum…

11.

А жизни всё равно, как течь

А жизни всё равно, как течь:
Беречь нас или не беречь,
Лелеять, обращаться дурно,
Течь плавно, медленно иль бурно,
Иль где-то посреди земли
Нас вдруг оставить на мели.

 

***

E per la vita che differenza fa come scorrere

E per la vita che differenza fa come scorrere,
Proteggerci oppure no,
Cullarci, trattarci male,
Scorrere silente e lieta oppure tempestosa,
O ancora da qualche parte nel bel mezzo
Lasciarci d’un tratto in secca.

13.

А мне не надо «как-нибудь».

А мне не надо «как-нибудь».
Мне нужен небывалый путь,
И яркий свет, и дивный воздух,
И небо в очень крупных звёздах,
И чтобы песнь моя была
Распахнутой, как два крыла.

***

Non ho bisogno di «in qualche modo»

Non ho bisogno di «in qualche modo».
Ho bisogno d’un cammino mai visto
E d’una luce viva e di mirabile aria,
E d’un cielo dalla grandi stelle,
E che la canzone mia sia
Spalancata come due ali.

14.

Снег падает, белое небо крошится

Снег падает, белое небо крошится.
А может быть, счастливо всё завершится,
А может быть, всё завершится без боли.
Страдать на земле мы обязаны, что ли?
Кто выдумал, будто на пользу страданье?
Да будет волнующим наше свиданье
С землёй, с небесами, со снегом летучим.
Коль счастливы будем, мы им не наскучим.

 

***

Cade la neve, si sbriciola il bianco cielo

Cade la neve, si sbriciola il bianco cielo
E forse felicemente tutto si realizzerà,
E forse si realizzerà senza dolore.
Siam forse tenuti a soffrire in terra?
Chi s’inventò che utile è la sofferenza?
Sia pure tumultuoso il nostro incontro
Con la terra, coi cieli, con la neve turbinante,
Se saremo felici, questo non ci annoierà.

15.

Кончается год, то есть Domini Anno

Кончается год, то есть Domini Anno,
А жизнь выражается так же туманно,
Но мне по душе шепоток и намёки,
Колеблемый свет бесконечно далёкий,
И нравится мне, что ответ так уклончив,
Что я ухожу, разговора не кончив.

***

Termina l’anno, vale a dire Domini Anno

Termina l’anno, vale a dire Domini Anno,
E così nebulosa s’esprime la vita,
Ma soffia nell’animo un sussurro e presagi,
La luce ondeggiante e senza fine lontana,
E mi piace che così la risposta sia vaga,
Che me ne vado senza por fine al conversare.

16.

А песенка, что родилась

А песенка, что родилась,
С моим дыханием слилась.
Пою ли я, дышу – не знаю.
Вот прохожу я птичью стаю,
Они поют, и я пою,
Но каждый песенку свою.

***

E la filastrocca ch’è nata

E la filastrocca ch’è nata
Con il respiro mio si fonde,
Forse io canto, o respiro, non so…
Ecco uno stormo d’uccelli d’incontro
E cantano quelli e canto anch’io,
Ma a ciascuno la propria filastrocca.

 

IV.

Anno 2009-2010

1.

Такая важная ворона

Такая важная ворона.
Сук для неё – подобье трона.
На землю смотрит свысока,
Как будто бы живёт века,
И всё про землю понимает,
И нас всерьёз не принимает.

***

Cosiì  altezzosa cornacchia

Così altezzosa cornacchia,
Per lei è il rametto come un trono.
Dall’alto in basso la terra scruta,
Quasi vivesse da secoli e secoli
E tutto della terra conoscesse,
Tanto da non prenderci sul serio.

2.

Всё чисто, тихо, гармонично

Всё чисто, тихо, гармонично.
Я убедилась в этом лично.
Тихи снега и облака.
Не поднимается рука
Писать об этом мире плохо.
Какая б ни была эпоха,
Но плакаться в такие дни
И ночи – боже сохрани.

***

È tutto lindo, armonico e silente

È tutto lindo, armonico e silente.
Me ne sono sincerata personalmente.
Silenti le nevi e le nubi
Non si leva la mano
Per scriver male di questo mondo.
Qualunque epoca s’affacci,
Di piangere in questi giorni
E notti, o Dio, risparmiami.

3.

Хочу побыть наедине

Хочу побыть наедине
С печалью – очень старым другом.
Печаль всегда к моим услугам.
Лишь позову – спешит ко мне.
Мы с ней молчим, мы с ней поём,
Нам с ней вдвоём совсем не скушно,
Она сидит со мной послушно
Когда угодно – ночью, днём.

***

Voglio restare tête à tête

Voglio restare tête à tête
Con la tristezza amica mia da sempre.
La tristezza è sempre ai miei comandi.
Basta chiamarla e corre da me.
Restiamo in silenzio, cantiamo insieme,
In due non ci annoiamo proprio,
Lei se ne sta seduta accanto obbediente,
Quando io voglio, di notte e di giorno.

4.

И каждый росток утверждает: «Я сам»

И каждый росток утверждает: «Я сам» —
И тянется вверх – к небесам, к небесам.
И каждый цветочек, приземистый даже,
Стремится туда же, туда же, туда же.
И дерево к небу стремится, шурша Листвой.
И туда же стремится душа.

***

Ed ogni virgulto va gridando «Proprio io!»

Ed ogni virgulto va gridando «Proprio io!»
E tende in alto ai cieli, ai cieli.
E ogni fiorellino, persino quello a terra,
Aspira a salire lassù, lassù.
E l’albero al cielo si slancia, frusciante
Di foglie. E lassù si slancia l’anima.

5.

И я – в единственном числе

И я – в единственном числе,
И ты. Ты тоже одиночка,
Как на пустой странице точка
Или как искорка в золе.
Как в одиночку выжить здесь?
Но мы глагол «любить» спрягаем,
Друг другу выжить помогаем,
Преображая космос весь.

 

***

Ed io sono al singolare

Ed io sono al singolare,
E tu. Tu pure sei solo,
Come un punto su una pagina vuota,
O come un tizzone nella cenere.
Come vivere qui in solitudine?
Ma noi il verbo «amare» coniughiamo,
E l’un l’altro ci aiutiamo a sopravvivere,
Trasfigurando il cosmo intero.

6.

Есть возможность прожить это лето в саду

Есть возможность прожить это лето в саду.
Я ценю это лучшее время в году.
Я ценю с каждой веткой зелёной соседство.
Чтоб писались стихи, это лучшее средство.
К слову «счастье» я рифму сегодня ищу
И о том, что на свете их мало, грущу.

***

C’è l’opportunità di trascorrere l’estate in giardino

C’è l’opportunità di trascorrere l’estate in giardino,
Lo considero il periodo migliore dell’anno.
Apprezzo la vicinanza d’ogni verde ramo,
Perché si scrivano versi è il mezzo migliore.
Alla parola “felicità” cerco oggi la rima
E che al mondo ce ne siano poche mi rattrista.

7.

О Боже мой, Боже, какая акустика!

О Боже мой, Боже, какая акустика!
Доносится пение с каждого кустика —
И справа и слева. Какой резонанс!
И впал соловей в долго длящийся транс.
И как его пение дивное вынести
И, веточкой хрустнув, из транса не вывести?

***

O Dio mio, o Dio, che acustica!

O Dio mio, o Dio, che acustica!
Risuona il canto da ogni cespuglio.
Da destra e da manca quale risonanza!
E cadde l’usignolo in lunga trance
E come il mirabile suo canto sopportare
E, spezzato un rametto, dalla trance non svegliarlo?

8.

И лесенка, лесенка прямо в сирень

И лесенка, лесенка прямо в сирень,
И прямо из ночи в сияющий день,
И прямо из сна в многоцветие яви.
Нет, я на судьбу обижаться не вправе.
И прямо в объятья из дома, с крыльца
По шатким ступенькам. И так без конца.

***

E la piccola scala, la scala dritta nel lillà

E la piccola scala, la scala dritta nel lillà,
E dritta dalla notte al giorno splendente,
Dritta dal sonno alla variopinta veglia.
No, non posso certo prendermela con la sorte.
Dritta tra le tue braccia, da casa, dalla veranda,
Su per gli instabili scalini. E così senza fine.

9.

Жить летом как упасть в объятья

Жить летом как упасть в объятья.
Июльский ветер треплет платье,
Трава ступни слегка щекочет…
Всё будет, что душа захочет,
Всё, что словам не поддаётся
И смертным в руки не даётся.

***

Vivere d’estate come cadere in un abbraccio

Vivere d’estate come cadere in un abbraccio.
Il vento di luglio increspa la veste,
L’erbetta appena solletica la pianta del piede…
Tutto si realizzerà, quello che l’anima vorrà,
Ciò che alla parola non si piega
E ai mortali afferrar non è dato.

10.

Всё в воздухе есть. Надо лишь отыскать

Всё в воздухе есть. Надо лишь отыскать,
Однажды нащупать и не отпускать.
Рисунок, и строчка, и песенка эта
Таилась и пряталась в воздухе где-то.
Художник, который нас так одарил,
Нащупал всё это, а не сотворил.

***

Nell’aria c’è tutto. Bisogna solo cercare

Nell’aria c’è tutto. Bisogna solo cercare,
Una volta riconosciuto al tatto prendi e non lasciare più.
Un disegno, un verso e questa filastrocca
Si celava e nascondeva da qualche parte nell’aria.
L’artista che tutto questo ci ha regalato,
Ha tutto ciò riconosciuto al tatto, non creato.

Bibliografia

Лариса Миллер, “ Потаенного смысла поимка “, Москва, 2010

 

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Due tesi su Cesare Pavese

Cesare_Pavese

 

“ Risalivo la strada della collina e gli antichi scenari di verde e muricciuoli, via via che sorgevano alle svolte, mi parevano finti “. (1)

Cesare Pavese (ri)disegna così, ancora una volta, il profilo irripetibile dello spazio mitico, incrocio inestricabile di memoria, di ciò che vivo, già appartiene al passato, alla morte. E di difesa estrema della morte è per Pavese la sua “ opera poetica” così votato alla distruzione e così compromesso con la vita , così minato dall’ aspra angoscia che non vuole lasciare spazio ad un dolore chiaro e cosciente.


“ Troppo si parla di Cesare Pavese alla luce del suo gesto estremo e troppo poco alla luce della sua battaglia vinta giorno per giorno sulla propria spinta autodistruttiva. Sulla morte che sembra spiarlo da tutti i lati, non fosse altro che faccia nascosta del mito” .


Furio Jesi, che più attentamente di tutti ( Davide Lajolo, Dominique Fernadez, Alberto Moravia, Italo Calvino, ecc) (2), ha analizzato la presenza del mito in Cesare Pavese, ha scritto : “ Se il mito non è più accessibile, sola accessibile resta la morte, depositaria dei miti “.  (3)


La morte svela lo spazio invisibile in cui il mito allude e che la scrittura di Cesare Pavese aveva potuto ricostruire solo come ombra, come incerta allusione.


Tutto questo mostra quanto sia difficile staccare in Cesare Pavese la vita dalla sua rappresentazione.Una settimana prima di uccidersi Cesare Pavese, nella lettera a Tullio e Maria Cristina Pinelli, aveva scritto : “ Io sono come Laocoonte : mi inghirlando artisticamente coi serpenti : e mi faccio ammirare, poi ogni tanto mi accorgo dello stato in cui sono e allora scrollo i serpenti, gli tiro la coda, e loro strizzano e mordono. E’ un gioco che dura da vent’anni. Comincio ad averne abbastanza”. (4)

 

 Appendice

1. Cesare Pavese, “La casa in collina”in “Racconti “ ), Ed. Einaudi, Torino, 1960

2. Davide Lajolo, ” Il ‘ vizio assurdo’ . Storia di Cesare Pavese”, Il Saggiatore, Milano, 1960

Davide Lajolo, ” Cultura e politica in Pavese e Fenoglio ” , Vallecchi, Firenze, 1970

Dominique Fernandez, “L’échec de Pavese” , Paris, Grasset , 1967 . Opera “psychobiographie” d’impostazione freudiana; è un’opera  fondamentale per comprendere la complessa e tormentata personalità di Cesare Pavese. Se ne evince che il suicidio non è un punto di rottura ma il punto di maturità di un uomo che lucidamente si è sottratto alla gloria. Vi si allude anche al complesso di Edipo che può aver condizionato la vita di Cesare Pavese dopo la morte precoce del padre, quando egli aveva solo sei anni. Ne subì un forte trauma e il suo carattere fu reso ancor più introverso e instabile dall’educazione molto rigida impartita dalla madre.

Dominique Fernandez , “ Il  mito dell’America negli intellettuali italiani “, Caltanissetta – Roma, Sciascia Ed. , 1969. Tale opera, in riferimento al rapporto tra Pavese e la letteratura americana, è di grande importanza per cogliere, al di là dell’argomento specifico in sé, aspetti chiarificatori sull’indole di Cesare Pavese e sulla sua sensibilità di uomo, di traduttore, critico, narratore e poeta.

3. Furio Jesi, “ Letteratura e mito”, Ed. Einaudi, Torino, 2002

4. Cesare Pavese, “ Lettere ( 1945-1950 ) “ a cura di Italo Calvino, Ed. Einaudi, Torino, 1966.

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