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La grafica e l’alternativa .

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La grafica e l’alternativa

Immagini e passaggi tra quando l’immagine diventa protesta.

 

I.

Antefatto

La maurità democratica di una nazione si manifesta anche dal grado di tolleranza, o meglio dalla soglia di censura, che genera livelli diversi di intervento dell’immagine. Se in Inghilterra, negli Stati Uniti o in generale nei paesi con una grande tradizione civile è permessa una critica più diretta, nei sistemi politici meno democratici il contenuto dell’immagine deve cercare canali di comunicazione più velati e metaforici.

In ogni contesto, comunque, l’immagine ha sempre avuto un ruolo importante come veicolo della protesta e della critica sociale. Se nei secoli passati e in particolare nell’Ottocento, era soprattutto la satira a rappresentare visivamente ogni forma di dissenso, con la nostra epoca questa funzione si svilupperà a tal punto da acquisire forme e modalità del tutto nuove. Si potrà parlare di una vera e propria “Grafica delle Agitazioni” che a partire dagli anni Sessanta, e dai rivolgimenti culturali e politici di quell’epoca, veicola l’immagine e il suo ruolo predominante la costruzione di una nuova cultura visiva della comunicazione sociale.

 

II.

Premesse ed obiettivi

Ripercorrere le rivendicazioni e le agitazioni degli ultimi decenni significa ripercorrere l’iconografia che ogni Movimento ha legato alle proprie lotte e aspirazioni. Per oltre un trentennio, fino alla nostra epoca, ogni battaglia sociale, per quanto diversa nei temi e negli obiettivi che si propone, assume il linguaggio visivo come uno degli strumenti fondamentali nell’affermazione dei propri valori e della propria identità. Dai movimenti studenteschi alle lotte di emancipazione, fino a giungere alle campagne per i diritti umani e alla difesa dell’ambiente e della diversità, la produzione grafica legata all’alternativa è vasta e ininterrotta.

Cercare di esaurire ogni tendenza, stile e peculiarità di questa produzione sarebbe però impresa ardua. In primo luogo perché i modi di operare attraverso il linguaggio visivo variano da nazione a nazione, a seconda dei problemi, della situazione politica e del grado di libertà e democrazia di un singolo paese.

Poi perché alle possibilità di espressione concesse dal sistema si legano i modi di produzione dell’immagine. Dalla stampa legale affidata a grandi tirature, fino alla stampa clandestina che utilizza tecniche povere di riproduzione dell’immagine. E a sua volta questi modi di operare subiscono delle trasformazioni legate alle innovazioni tecnologiche via via introdotte nel corso degli anni. In questo senso sarà l’avvento della lito offset a consentire in misura sempre maggiore la stampa a gruppi privi di grossi sostegni economici.

Ci si ritrova, in altri termini, di fronte a un materiale visivo variegato non facilmente collocabile in categorie chiuse. Quello che resta elemento aggregante, indipendetemente dalle singole realtà e dai momenti storici è sicuramente la novità e l’inventiva con cui l’immagine si propone, la sua capacità di (ri)elaborare i liguaggi e le esperienze estetiche e la forza con cui cerca una comunicazione altrimenti impossibile.

 

III.

Liberare il linguaggio

A partire dagli anni Sessanta si potrebbe dire che nella grafica passa di tutto; dalla pittura al colore, dal fumetto al fotomontaggio; e vi entrano soprattutto quella moltitudine di spunti e di invenzioni formali che provengono dalle esperienze artistiche e culturali di quegli anni, o dei decenni immediatamente precedenti. Basti pensare in questo senso all’importanza avuta dalle avanguardie e dalle innovazioni strutturali e compositive che con esse si introducono nell’immagine; o ancora, all’apporto del costruttivismo russo, dove, per la prima volta si assiste all’elaborazione di un vasto materiale visivo legato alla comunicazione sociale.

Gli anni Sessanta rimangono comunque un importante punto di partenza; con essi il linguaggio grafico rompe definitivamente i vincoli con l’immagine tradizionale: si introducono soluzioni tipo-grafiche audaci, colori accesi e violenti, equilibri formali insoliti. Sempre più frequentemente l’immagine si libera da vincoli figurativi e narrativi per ricorrere all’elaborazione di forme astratte e simboliche: un elemento stilizzato, un cerchio, un triangolo sono in grado di rappresentare nelle loro realtà contenuti e significati di grande forza emotiva. Solo con fotomontaggi o caricature, testi che cercano di mettere in ridicolo i rappresentanti dell’establishment; o semplicemente che pongono interrogativi, imitando un linguaggio colloquiale che cerca di attrarre l’attenzione dell’uomo della strada.

 

IV.

Designer come agitatori

Un ruolo importante per determinare le caratteristiche dell’immagine e la loro maggiore o minore raffinatezza, è indubbiamente rappresentato dalle singole personalità creative. Mentre in molti casi le immagini vengono prodotte da collettivi studenteschi e sono il frutto di un lavoro comune e di una sensibilità di gruppo, in molti altri emergono artisti caratterizzati da un proprio stile: sono molti ad esempio i designer che creeranno nel corso degli anni delle vere e proprie scuole; le loro immagini si stagliano quasi come icone, simboli della cultura contemporanea. Si pensi ad esempio a grafici come Tomi Ungerer e Seymout Chast, in America o all’intensa attività fotografica di Klaus Stack in Germania. Molti di essi operano in studi grafici che dalla produzione di immagini legate a movimenti e gruppi politici traggono la loro fama e identità.

A determinare il carattere stilistico dell’immagine resta prioritario non solo l’attenzione del singolo artista o gruppo ma il substrato culturale con cui agiscono. In talune situazioni ad esempio l’arte non applicata rimane sul piano del linguaggio un punto cardine di riferimento per molti designer; esempi di raffinati legami con avanguardie, li ritroviamo nella grafica olandese anti-apartheid: la presenza di una tradizione che va dal Bauhaus al costruttivismo e l’azione attiva dell’accademia di Amsterdam con nomi quali Wild Plakken producono immagini particolarmente elaborate sul piano compositivo. Anche il gruppo francese Grapus è un esempio di frequentazioni della cultura artistica: i manifesti sembrano attingere le proprie idee dalla pittura informale e dall’art brut.

 

V.

I formati

La diffusione delle immagini attraverso la stampa ha come veicolo principale per quasi tutto il trentennio la forma del manifesto, che per le sue possibilità comunicative rimane lo strumento privilegiato. Ma a partire soprattutto dagli anni Ottanta un ruolo altrettanto importante viene assunto dalle riviste, dalle fanzine e dagli innumerevoli piccoli formati che permettono ai gruppi alternativi una produzione autonoma e una diffusione rapida. La stampa in questi formati diviene così imponente negli anni successivi al punto da dare origine a una vera e propria moda: numerose riviste giovanili, anche di grandi tirature, assumeranno la stessa veste e stile grafico come espressione della cultura underground.

Anche un diverso concetto della politica ha un ruolo fondamentale nell’introdurre nuovi veicoli di espressione attraverso le immagini. Il disagio sempre più crescente verso qualsiasi gruppo o partito, l’idea di una politica globale, legata alla maggiore consapevolezza delle questioni planetarie, il bisogno di sensibilizzare verso problemi comuni, quali la droga o l’alcol o l’aids, porta l’individuo a farsi veicolo essenziale stesso dell’immagine: se il manifesto si poneva con una certa distanza e autorità nei confronti del fruitore ora si producono in grande quantità spillette cariche di messaggi, t-shirt, con immagini di ogni genere; anche i graffitti sui muri sono l’espressione di una nuova cultura e di un nuovo modo di comunicare. La moda e lo stile divengono elementi che identificano il singolo, esprimono le sue convinzioni e idee e le relazioni che esso instaura con il sociale.

L’epoca dell’interattività e della pluralità dei linguaggi da nuove dimensioni alle immagini e al loro ruolo nel contesto sociale. Un processo destinato a rinnovarsi rapidamente secondo una realtà sempre più differenziata e in movimento; ma una realtà che pone sempre più nella comunicazione visiva la possibilità di esprimere vigorosamente i propri contenuti.

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Prismi.

Prismi

Prismi.

La forma democratica della rappresentanza : genesi e crisi del concetto .

Gli antichi greci consideravano la democrazia come il governo dei poveri. Si ha democrazia, si legge nella Politica di Aristotele se i liberi ed i poveri, essendo in numero prevalente, sono signori del potere ( Politica, 1290 b )cioè quando: il potere supremo è nelle mani della moltitudine dei nati liberi (in alcuni casi, sia da parte di padre che da parte di madre), i quali sono in maggioranza poveri. Ma per i moderni la democrazia è il governo della classe media, come Alexis de Tocqueville aveva appreso nel corso del suo viaggio americano (1831).

E’ corretto affermare che la storia della cittadinanza moderna prende avvio dalla fine del “lavoro servo” e che i moderni abbiano adattato la democrazia a una società fondata sul “lavoro retribuito” e lo scambio monetario, un ordine economico che ha bisogno di una moltitudine di consumatori, gente né troppo ricca né troppo povera. Una conseguenza importante di questa conquista di civiltà è che nella democrazia moderna i cittadini e le cittadine devono essere responsabili in modo diretto del proprio sostentamento, con la conseguenza di disporre di tempo per la cura degli affari pubblici. Ciò ha indotto alcuni pensatori a sostenere, come ha fatto Charles-Louis de Secondat  baron de La Brède et de Montesquieu, che il governo dei moderni assomiglia a un governo misto, perché l’elezione – come ci hanno tramandato Erodoto e Aristotele – è un’istituzione aristocratica , in quanto discrimina tra i cittadini (chi elegge deve scegliere e quindi escludere) e soprattutto non consente loro, a tutti loro indistintamente, di governare ed essere governati a turno. Ma dalla diagnosi di Charles-Louis de Secondat  baron de La Brède et de Montesquieu si può trarre anche un’altra conclusione: ovvero che, invece di essere alternativa alla partecipazione, la rappresentanza rende quest’ultima più complessa e l’esclusione meno appariscente.

L’eguaglianza universale ha arricchito il valore normativo della democrazia dei moderni facendola più inclusiva di quella antica, ma nello stesso tempo ha ristretto la possibilità della partecipazione e, soprattutto, ne ha modificato le modalità. Autorevoli filosofi politici hanno per questo considerato “la rappresentanza un espediente necessario ma non un’istituzione democratica” (un giudizio storicamente ineccepibile, poiché la rappresentanza è nata nel medioevo, e dunque prima dello Stato sovrano moderno nel quale si è sviluppata la democrazia). Tuttavia, la rappresentanza non è semplicemente un ripiego perciò (la sovranità diretta) che noi moderni non riusciamo più ad avere, è invece un processo politico capace di attivare nuove forme di partecipazione politica, diverse ma non meno importanti delle forme dirette degli antichi.

E’ senz’altro vero che la rappresentanza è nata per limitare la democrazia non per realizzare la democrazia. Del resto, per secoli la democrazia ha goduto di pessima fama, come governo dei peggiori perché governo della moltitudine, degli incolti, degli ignoranti, vendicativa contro i benestanti , perciò facile alla manipolazione da parte di demagoghi e tiranni. Anche nell’era democratica la rappresentanza è stata concepita come un espediente per limitare la democrazia e non per realizzare la democrazia per eccellenza, e quella iniziata dopo la seconda guerra mondiale, e nonostante, oggi, la retorica contemporanea del capitale postmoderno o informatizzato della democrazia, molte istituzioni (certamente la rappresentanza) sono ancora giudicate secondo la stessa prospettiva degli architetti settecenteschi del governo rappresentativo, la cui agenda politica non contempla, di certo, l’obiettivo di facilitare la partecipazione delle moltitudini.

Le premesse non-democratiche (e perfino anti-democratiche) difese dagli autori dei Federalist Papers (James Madison, Alexander Hamilton e John Jay) e la denuncia di Joseph Emanuel Seysè de “ la malvagità dei piani volti a costruire una re-totale anziché re-pubblica “ ( Max Weber) sono diventate da diverso tempo luoghi di incontro per molti studiosi di istituzioni politiche. Come si legge nel Federalist n°. 63: “ Il vero elemento distintivo tra queste forme politiche e quella americana è rappresentato dal fatto che quest’ultima esclude completamente il popolo nella sua capacità collettiva da una partecipazione diretta alla cosa pubblica, e non nel fatto che le prime escludessero completamente i rappresentanti del popolo dall’amministrazione”.

La pratica del suffragio universale non ha scalfito questa idea anti-democratica del ruolo della rappresentanza. Come ha scritto di recente uno studioso francese, Bernard Manin, le strutture portanti del governo dei moderni “ sono rimaste le stesse dal tempo delle rivoluzioni settecentesche, da quando cioè quello rappresentativo era ancora un governo di notabili eletti da pochi cittadini privilegiati”.

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